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Friday Night Lights – 5×13 – Always

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friday night lights - 5x13 - always

Dobbiamo farcene una ragione: Dillon non esiste davvero.

Alcuni di noi sono stati tratti in inganno, in questi cinque anni, vuoi dallo stile documentaristico delle riprese, vuoi dalla verosimiglianza delle storyline (sì, sono una negazionista della seconda stagione), vuoi da quest’ambientazione così spoglia e, proprio per questo, così reale. Più di ogni altra cosa, vere sono state le emozioni che, molti di noi, hanno provato seguendo Friday Night Lights: se sto affogando nelle mie stesse lacrime, mentre scrivo questa recensione, so per certo di essere in buona compagnia. Vi sento singhiozzare tutti quanti, gentlemen.

Eppure Dillon è un luogo del tutto immaginario, tanto che perfino il nome della cittadina texana è un’invenzione. Per quanto ci sembri di conoscere intimamente il parcheggio dell’Alamo Freeze e il fango del campo malandato degli East Dillon Lions, quella che Friday Night Lights ci ha raccontato è una storia e, come la migliore delle storie, finisce. Con un finale pressochè perfetto e con le sue piccole imperfezioni, che riallaccia, con un elegante movimento di stile, l’inizio e la fine, chiudendo un cerchio. Questo, nella vita vera, non succede praticamente mai. Questo è il motivo (uno dei tanti) per cui guardiamo serie tv: anche nella più verosimile delle storie, quello di cui abbiamo bisogno è l’eccellenza del racconto, il saper mettere dei punti necessari, il saper costruire emozioni all’interno di una struttura che si tiene.

Quest’infinita premessa per dire che no, tutti i lieto fine messi in fila, in questo series finale, non sono troppi. Se, in alcuni punti, quel realismo quasi inattaccabile che è stato cifra distintiva della serie, ha vacillato, è perchè va bene così. Di questo avevamo bisogno: di Matt che si inginocchia tra le auto dell’Alamo Freeze per chiedere a Julie di sposarlo, e quando lei gli risponde sì, lui se ne esce, incredulo, con un really? e la stessa espressione del primo appuntamento, cinque anni fa. Avevamo bisogno di veder rappacificati Becky e Luke e Vince e Jess, così come avevamo bisogno di sapere che Tinker e Billy sarebbero stati presi nei nuovi scintillanti Panthers. Avevamo bisogno di una vittoria, anche se non abbiamo avuto bisogno di vederla. Avevamo bisogno di guardare Tim sorridere, nel tramonto, e di sentirgli dire, ancora una volta, Texas forever. Avevamo bisogno di spegnere le luci del venerdì sera sopra la serenità di Mr e Mrs Taylor, e di saperli andare avanti, anche se, ricordiamocelo, non esistono davvero.

Recensendo la premiere avevo parlato di “malinconia da fine estate” e di elaborazione del lutto; in realtà l’episodio degli addii è stato proprio quel 5×01, denso com’era delle assenze e della partenza di Julie e Landry. Poi, questa quinta stagione di Friday Night Lights ha, giustamente, intrapreso la propria strada, quasi facendo finta di non essere l’ultima. Ci ha cullato, per un po’, nell’illusione, facendoci dimenticare il finale imminente. E quando, poi, questo finale è arrivato, ecco che invece del vuoto e dell’assenza, ci ha regalato i ritorni. Lentamente, in sordina, qualche personaggio è stato solo citato (Smash nella telecronaca sportiva, Lyla da Buddy, nel discorso per far rilasciare Tim sulla parola), altri si sono, nuovamente, palesati in carne e pixel, fino a comporre un quadro, quello di quest’ultimo episodio, dannatamente simile a una puntata della prima gloriosa stagione. I richiami sono molteplici ed estremamente sottolineati: il Coach e i giocatori intervistati dalla tv; Matt e Landry che discutono di come chiedere Julie in sposa ad Eric con lo stesso esatto tono con cui, cinque anni fa, si domandavano come ottenere un appuntamento; quell’uscita a quattro tra Julie, Matt, Tim e Tyra, finita a ballare il solito vecchio country; l’emozionatissimo ingresso in campo dei giocatori nello stadio in cui si giocheranno lo State; e quella scritta, a pennarello, sul muro, come un colpo al cuore.

Poi ci sono le cose nuove, quelle situazioni proprie di questa puntata, e di questa particolare stagione, soprattutto nella prima parte dell’episodio. Qualcuno avrà sicuramente storto il naso davanti alla proposta di matrimonio fatta da Matt a Julie: sarà che sposarsi a diciotto anni ormai non usa più, sarà, soprattutto, che Julie, in questa quinta stagione, non ha dato certo prova della maturità necessaria a convolare a nozze. Eppure, da un lato Matt e Julie sono una coppia talmente perfetta (un riflesso adolescente di Eric e Tami), dall’altro questo nodo di trama viene usato splendidamente per sbrogliare la crisi coniugale tra il Coach e sua moglie. Ha un bel parlare Eric di compromessi e responsabilità: capitano situazioni in cui non esiste una via che accontenti tutti, e qualcuno, all’interno della coppia, deve sacrificarsi. Ed è incredibile come Friday Night Lights riesca a renderci profondamente emozionante una scena che abbiamo già visto cento volte in mille film e telefilm, quella di lui che corre da lei per chiedere scusa e farsi perdonare. Eric che implora Tami di “portarlo con sè” a Philadelphia è uno dei momenti sicuramente più intensi di questo finale, oltre a regalarci, ancora una volta, l’immagine di un amore infinito, basato sul rispetto reciproco e sul sostenersi a vicenda.

La parte che più ho apprezzato di questo finale, però, comincia qui: riempie l’ultimo quarto d’ora e, fateci caso, ci sono dentro pochissime parole. Moltissima musica, qualche suono ambientale che irrompe, di tanto in tanto, e, soprattutto, i volti e le espressioni dei personaggi che abbiamo seguito fino ad ora. Del football, quel football che è stato il filo conduttore della serie, ci restano gli stati d’animo dipinti sulle facce di chi lo gioca e di chi lo segue. Il nervosismo, la paura, l’adrenalina, la tensione, la stanchezza, la rabbia, la disperazione, il sollievo, la speranza. Quel restare sospesi, tutti quanti in un unico respiro, attaccati a quel pallone che fila nell’aria e si trascina dietro ogni sguardo, dentro l’istante che può cambiare tutto, oppure no.

Tutto è legato al football, a Dillon, lo sappiamo. Così, in questo finale, la spesso disprezzata e limitante forma dell’epilogo si aggancia al resto grazie al volo del pallone, in quella bellissima ellisse temporale che ci teletrasporta dallo stadio dello State al College di Philadelphia, otto mesi dopo, dove Eric sta iniziando a prendere le misure ad una nuova squadra. Non avevamo bisogno di vederla, quella vittoria: ne avevamo già vista una nel finale della prima stagione. E’ bello scoprire il risultato della partita dai piccoli dettagli: gli anelli al dito degli ormai ex Lions (anche a quello di Jess!), lo striscione che viene smontato dal vecchio stadio dei Lions, ora trasformato in un – sigh! – parcheggio. Una vittoria è effimera, lo aveva spiegato perfettamente Tim a Luke. Una vittoria così capita una volta nella vita, e poi basta. Quello che resta è tutto il resto, quello che ci ha insegnato il Coach in queste cinque stagioni: che occhi spalancati e cuore pieno non possono perdere.

Non basta un ottimo finale per riempire il vuoto che Friday Night Lights ci lascerà. Per quanto consapevoli che sia molto meglio chiudere una serie al meglio, piuttosto che trascinarsi stancamente senza nulla da dire, ci mancherà Dillon, ci mancherà il Coach, ci mancherà il Texas. Non ricordo altre serie capaci, come questa, di scavarti dentro fino al cuore e ai nervi, di disegnarti davanti un panorama deprimente e, allo stesso tempo, riempirlo di speranza, di affrontare tematiche quotidiane senza scadere nel banale e di raccontare temi controversi  evitando ogni retorica. Non ricordo altre serie in grado di illuderci che i suoi protagonisti, da qualche parte, esistessero davvero, e respirassero il nostro stesso ossigeno, in carne, ossa e lividi. Questo ci mancherà, e molto. In attesa che altri narratori, imparino la lezione, e sappiano fare altrettanto.

[Per dovere di cronaca dovrei dire: quattro stelle alla stagione, quattro stelle e mezzo alla prima parte di episodio, millemila stelle agli ultimi quindici minuti, infinite stelle alla serie tutta. Ma ce n'è davvero bisogno? Facciamo una specie di media, e non se ne parli più].

Note varie e cose che non ci sono state là sopra:

  • Della serie, i momenti in cui “strappami il cuore, calpestalo, sminuzzalo e lasciamelo lì in una pozza di lacrime”: la dolcissima scena in cui mamma Taylor non può fare a meno di guardare l’anello al dito di Julie e commuoversi; l’abbraccio tra Becky e Mindy e quel riconoscersi “sorelle”; il tramonto che scende su Tim e Tyra, mentre concludono di volere vite diverse, ma, in un futuro, chissà…; quello scambio tra Eric e Vince, prima della partita, “You may not know how much I’m proud of you” “You changed my life, Coach”. Facciamo pure l’elenco qua sotto nei commenti.
  • Sempre a proposito del Coach e di Vince, ho molto apprezzato il fatto che Eric, senza bisogno di parole, comprenda la necessità di Vince di avere suo padre sugli spalti allo State. E’ quel ruolo pienamente educativo che Coach Taylor ha conquistato nei due anni a East Dillon, esplicitato in quella frase, alcune puntate fa, “il modo in cui giocherete stasera dirà al mondo il tipo di uomini che sarete”. E’ un richiamare il valore più profondo e vero dello sport, quello per cui coraggio, tenacia, disciplina, intelligenza, collaborazione e impegno totale escono dal campo per approdare alla vita di tutti i giorni.
  • Un’altra cosa dolcissima, che se non la sapevate vi scioglierà il cuore: erano previste quattro scene alternative per il lieto fine di Tim Texas Forever Riggins. Sempre ambientate nel terreno che Tim ha comprato e dove sta costruendo la sua nuova casa, una prevedeva Tim da solo, una Tim e Billy (quella che poi è stata effettivamente scelta), una Tim e Tyra e una Tim e Jason. Quest’ultima è stata girata ugualmente, voluta fortissimamente da Scott Porter: non gli importava che andasse effettivamente in onda, ma voleva un’ultima occasione di brindare con Tim e di pronunciare la mitica frase “Texas forever” (fonte tvline, e grazie Rei per avermelo segnalato!)
  • Il mio innato antimilitarismo mi ha fatto inizialmente storcere il naso davanti alla scelta di Luke di entrare nell’esercito. In realtà è perfettamente coerente col percorso che gli abbiamo visto fare in questa quinta stagione e con il suo cercarsi uno spazio in un post-high school che si prefigura nebuloso. Ecco, avrei preferito se, anche con una sola battuta, questa soluzione ci fosse stata preparata nelle puntate precedenti. Ma anche chissenefrega, va bene così.
  • JaneLane mi fa notare che, per tutta la finale di stato, i nostri eroi indossano cappellini e magliette nere invece che rosse. Giustificato narrativamente dal fatto che gli avversari hanno la maglia arancione, certo, ma è difficile non pensare che possa essere un piccolo segno di lutto.
  • Per chi non riesce a dire basta, oltre alla coda d’episodio con le interviste ai protagonisti, sempre l’ottimo Rei mi segnala una gran quantità di cose che potete leggere e vedere: i migliori momenti della serie secondo il critico Alan Sepinwall, un’intervista allo showrunner Jason Katims (sempre di Sepinwall), un’intervista al cast, e poi, bè, la Rete e Google sono vostri amici e vi aiuteranno a trovare tanto altro.
  • Ah, e sempre riprendendo Sepinwall, mi sembrava giusto far notare quanta musica ci sia in questo finale, così come nella serie tutta. L’elenco, per la gioia dei nostri IPod: Christmas In Texas by John Evans, Heaven by Brandi Carlile, No Truth In Your Eyes by David Kitt,  Sleigh Ride by Ella Fitzgerald, Hanging Around My Door by Denny Earnest, Friends For Life by The Local, Holy, Holy, Holy Moses by Alec Ounsworth, Back To Jail by The Lucky Strikes, Hello Darlin’ by Conway Twitty, Don’t Tremble by The Low Anthem, Inside It All feels The Same by Explosions in the Sky, To West Texas by Explosions in the Sky, Stokkseyri by Jonsi & Alex, Deus Ex Machina by if These Trees Could Talk e Devil Knows You’re Dead by Delta Spirit. Tanta roba.

E’ tutto, dunque. Per l’ultima volta, clear eyes, full hearts… bè, ci lavoreremo su, gentlemen.

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